I disturbi del comportamento alimentare, come l’anoressia e la bulimia nervosa costituiscono quadri psicopatologici caratterizzati da gravi alterazioni del comportamento alimentare. Fairburn e Walsh (2002) hanno definito un disturbo dell’alimentazione come “un persistente disturbo del comportamento alimentare, o del comportamento finalizzato al controllo del peso, che danneggia significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”.
Nelle classificazioni psichiatriche (World Health Organization, ICD-10 e American Psychiatric Association, DSM-IV/TR) si tende ad individuare essenzialmente in due sindromi, l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa, l’insieme dei disturbi dell’alimentazione. Caratteristica fondamentale comune ad entrambe le sindromi è la presenza di un’alterata percezione del peso e della propria immagine corporea. L’aspetto tipico dell’anoressia è il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale, mentre la bulimia è caratterizzata da ricorrenti episodi di “abbuffate” seguiti dall’adozione di mezzi inappropriati per controllare il peso (vomito autoindotto, uso di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno, iperattività). I disturbi dell’alimentazione che non soddisfano i criteri di nessun disturbo specifico vengono classificati come “disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati” (NAS). Tra questi, particolare interesse suscita il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI) o Binge Eating Disorder (BED).
I disturbi del comportamento alimentare colpiscono prevalentemente giovani donne nell’età a rischio compresa tra 12 e 25 anni. Anoressia e bulimia colpiscono principalmente le donne (90 dei casi). I maschi sono nelle statistiche italiane circa il 10% dei casi. Per quanto riguarda l’età di insorgenza dei disturbi alimentari, l’anoressia nervosa ha un picco di comparsa a 14-15 anni, mentre la bulimia nervosa compare più frequentemente attorno ai 18-19 anni. Anche se i disturbi del comportamento alimentare sono diffusi principalmente in adolescenti e giovani donne, gli studi condotti sulla fascia d’età 8 – 14 indicano una elevata presenza di comportamenti alimentari abnormi.
Non esiste un unico fattore in grado di spiegare la genesi e il mantenimento di questi disturbi, ma esistono invece una serie di fattori biologici, familiari, psicologici, culturali e sociali.
Per quanto riguarda i fattori individuali sono stati descritti fattori biologici e psicologici. Per quanto riguarda i fattori psicologici è difficile tracciare un profilo di questi soggetti dato che il disturbo provoca cambiamenti nella personalità di queste persone. E’ quindi difficile separare le caratteristiche della personalità “vera” (quella prima della malattia) da quelle dovute alla malattia. Esistono comunque alcune caratteristiche di personalità che possono predisporre al disturbo, fra queste: difficoltà ad identificare stati e sensazioni interne; sensazione di inefficacia; paura di diventare adulti. Ancora, comunemente si ritiene che soggetti con un disturbo del comportamento alimentare presentano: scarsa autostima; problemi nell’autonomia; scarsa auto-consapevolezza; perfezionismo; paura della maturità; esperienze infantili avverse.
Anche per quanto riguarda i fattori familiari è difficile stabilire quali dinamiche sono proprie della famiglia e quali sono invece state acquisite per far fronte alla malattia. Tuttavia si ritiene che la famiglia giochi un ruolo importante nella genesi e nel mantenimento del disturbo alimentare. Le famiglie infatti riflettono bene le ideologie della società ed è possibile, quindi, che le convinzioni circa il peso e l’immagine corporea siano veicolate alle figlie.
Attualmente la letteratura scientifica privilegia un’interpretazione multidisciplinare dei disturbi del comportamento alimentare, una interpretazione in grado di considerare la pluralità e la diversità di fattori che starebbero alla base dell’assunzione della condotta sintomatica.
I criteri diagnostici per un disturbo del comportamento alimentare “classico”, come anoressia o bulimia, possono non essere soddisfatti a causa di una durata inferiore dei sintomi in termini di tempo, per una minore significatività clinica delle manifestazioni sintomatologiche o per una sovrapposizione di sintomi appartenenti a diverse categorie diagnostiche.
Bassa autostima: caratteristica più frequente che spesso spinge gli individui a sovrastimare l’apparenza corporea, riponendo nel raggiungimento della migliore forma fisica aspettative irreali di successo e di realizzazione personale. Inoltre, contribuisce ad interpretare in maniera eccessivamente negativa eventuali “sconfitte” o “ricadute” alimentari, favorendo l’insorgere di un altro aspetto comune nei soggetti con disturbi alimentari, e cioè il “senso di colpa”;
Senso di colpa: l’imporre a se stessi una dieta troppo rigida stigmatizzando eventuali trasgressioni, non solo è un atteggiamento che favorisce l’accadimento di queste ultime, ma soprattutto rende facile l’insorgenza del senso di colpa per la non adempienza alle proprie prescrizioni innescando, dunque, un circolo vizioso (il soggetto alterna momenti di restrizione alimentare con altri di perdita di controllo) che porta allo sviluppo di pensieri e comportamenti perpetuanti il disturbo stesso;
Sintomi depressivi: l’incapacità di adempiere ad una rigida prescrizione alimentare unita allo sperimentare numerosi fallimenti, a lungo termine, può favorire l’insorgenza di sintomi depressivi che, in alcuni casi, possono risultare così significativi da interferire con le attività affettive, sociali e lavorative dei soggetti. Inoltre, il probabile utilizzo del cibo come “antidepressivo”, tipico di questi soggetti, peggiora in maniera inesorabile la situazione;
Pensiero dicotomico: è il modo di pensare contraddistinto dal catalogare le cose in maniera estrema, cioè ”tutto o niente” e risulta pericoloso poiché rafforza il senso di fallimento di fronte anche ad una piccola “ricaduta” alimentare, favorendo l’insorgenza dei sensi di colpa, l’insinuarsi e il successivo perpetuarsi dei sintomi depressivi;
Perfezionismo clinico: valutazione di Sé eccessivamente dipendente dall’inseguimento e dal raggiungimento determinato di standard personali esigenti ed autoimposti in almeno un dominio saliente (controllo su alimentazione, peso, studio) nonostante le conseguenze avverse (Dalle Grave, 2003). La persona pensa che potrà essere accettata solo a condizione di dare il massimo delle proprie possibilità senza la minima smagliatura. Il giudizio altrui viene considerato l’unico modo per stimare il proprio valore.
Bibliografia:
Manuale sui disturbi dell’alimentazione. Anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata; P. De Giacomo, C. Renna, S. Rugiu; Franco Angeli 2005
La terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione; C. Fuirburn; Scienze cognitive e psicoterapia, 2010