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Quando la tristezza parla d’altro: la depressione

Nel corso della vita capita a tutti di vivere delle giornate o di attraversare brevi periodi caratterizzati da stanchezza, tristezza o scoraggiamento. Questi periodi solitamente sono conseguenza di eventi più o meno stressanti, come la perdita di una persona cara, difficoltà economiche, un trasferimento, la fine di una relazione, problemi scolastici, e così via. E ancora, a tutti noi capita di etichettarci o di etichettare  qualcuno come “depresso”.  Molte volte però questi periodi sono soltanto cali d’umore passeggeri. In realtà quando parliamo di depressione intendiamo qualcosa di diverso.
Quando parliamo di depressione infatti parliamo di una malattia purtroppo molto diffusa e altamente invalidante, contraddistinta da una serie di sintomi diversi, quali emozioni di tristezza intense e durature, perdita di energie e di interessi, problemi di sonno, sensi di colpa, irritabilità, difficoltà di memoria e di concentrazione, stanchezza, fino ad arrivare a pensieri  suicidari.
Ecco perché la depressione può causare una notevole compromissione del funzionamento sociale, lavorativo ed interpersonale della persona, con altissimi costi da un punto di vista personale, familiare e sociale. Purtroppo molto spesso viene facile pensare che una persona depressa sia semplicemente più triste del dovuto e, ingenuamente, tendiamo ad incitarla a fare di più, attribuendo erroneamente la persistenza del malessere ad una sorta di pigrizia o di mancanza di forza di volontà. Purtroppo però non è così semplice vincere la depressione e questo tipo di atteggiamento, seppur messo in pratica in buona fede, rispecchia una visione troppo superficiale della malattia. Una persona affetta da depressione infatti non è solo triste, ma è una persona per la quale normali attività quotidiane, come alzarsi dal letto, fare una doccia, portare a spasso il cane, leggere un libro o andare a lavorare, equivalgono allo scalare una montagna altissima: è praticamente impossibile. La depressione è caratterizzata da precisi meccanismi di funzionamento e di mantenimento, e uno dei modelli esplicativi più famosi è sicuramente la “triade cognitiva”, elaborato da A.T. Beck, padre della psicologia cognitiva. In maniera molto semplicistica, secondo questo modello, la persona affetta da depressione è caratterizzata da pensieri negativi su se stessa, sul mondo e sul futuro. Più in dettaglio, la persona depressa: • vede se stesso come inadeguato e piena di difetti, a causa dei quali tende a sentirsi inutile e poco desiderabile; • interpreta negativamente le proprie interazioni con l’ambiente e con gli altri e, di conseguenza, considera i problemi come irrisolvibili e insopportabili; • ha la tendenza a prevedere difficoltà future, con la convinzione che possano prolungarsi in eterno e per questo non intraprende nessun tipo di progetto futuro, perché troppo preoccupata di ipotetici fallimenti. Questi pensieri – assolutamente pessimisti – alimentano la ruminazione, un meccanismo di pensiero che peggiora l’umore depresso, e favoriscono una serie di comportamenti controproducenti come l’allontanamento dall’ambiente sociale, allontanamento che porta ad isolarsi sempre di più, anche dalle persone più vicine, causando di conseguenza rifiuti e critiche, aggravando così anche l’auto-rifiuto e l’autocritica. La depressione è un disturbo dell’umore molto grave e tendenzialmente ricorrente, che dovrebbe essere diagnosticato e trattato in maniera tempestiva. Colpisce bambini, adulti e anziani e ha altissimi costi sociali. Nonostante la gravità, esistono oggi interventi molto efficaci per la cura della depressione. Accanto al trattamento farmacologico, indispensabile soprattutto quando vi è un alto rischio suicidario, interventi di  Psicoterapia Cognitivo Comportamentale, Schema Therapy, terapie basate sulla Mindfulness, e interventi di Stimolazione Magnetica Transcranica sono validissimi strumenti di cura, come supportato ormai da una vastità di ricerche scientifiche.